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L’iscrizione all’Aire non basta per escludere la residenza in Italia

L’iscrizione all’AIRE (anagrafe dei residenti all’estero) non esclude la residenza fiscale in Italia del contribuente se lo stesso ha come sede principale degli affari, degli interessi economici e delle proprie relazioni personali, nel territorio italiano.

Il principio è stato statuito ultimamente, dalla Suprema Corte di Cassazione italiana con la sentenza n. 29635/2022, che ha precisato che va data prevalenza al luogo in cui la gestione di questi interessi viene effettuata abitualmente, in modo riconoscibile dai terzi.

Quindi, risulterebbe corretta la condotta dell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate italiana, che nel ricalcolare il reddito di un noto professionista ha considerato, fra le tante prove anche, il luogo delle sue proprietà immobiliari, delle numerose attività professionali, dei movimenti bancari e delle relazioni familiari.

Il contenzioso che ha generato la sentenza, nasce da una serie di contestazioni fiscali che l’Amministrazione finanziaria italiana, aveva comunicato al cittadino residente all’estero, rideterminando il reddito imponibile per il pagamento delle imposte dirette, basando l’accertamento sul presupposto che il contribuente, sebbene iscritto all’Aire e formalmente residente nel Principato di Monaco, era da considerarsi fiscalmente residente in Italia, in quanto aveva fissato il proprio domicilio, per la maggior parte di ogni periodo d’imposta accertato, sul territorio Italiano.

Verifica della residenza e del domicilio

La tesi dell’Agenzia fiscale italiana era basata sul fatto che bisognava verificare l’effettività della residenza e del domicilio italiano del contribuente, rilevante ai fini dell’applicazione del Worldwide taxation principale, da intendersi il luogo in cui il soggetto ha la sede principale degli affari e degli interessi economici e delle relazioni personali per la maggior parte del periodo d’imposta.

L’Amministrazione finanziaria, contestava al contribuente il fatto che era proprietario di tre appartamenti in Italia, svolgeva numerose attività professionali legate all’attività di attore/doppiatore, con percezione dei relativi compensi in Italia, aveva un’intensa attività di spesa e d’incasso rilevata dagli accertamenti bancari ed aveva il centro delle sue relazioni personali e familiari.

La Cassazione, nel accogliere le contestazioni dell’Agenzia fiscale, ha concluso che sotto il profilo normativo, che l’art. 2 del Tuir (Test Unico delle Imposte sui Redditi), per il riconoscimento delle imposte dirette in Italia della residenza fiscale della persona fisica, fissa i seguenti presupposti:

1. di natura formale, corrispondente con l’iscrizione del cittadino all’Anagrafe dei residenti (AIRE)
2. di natura fattuale, con la residenza anagrafica o del domicilio, secondo la definizione resa nel Codice civile.

I criteri previsti sono alternativi, nel senso che la verifica anche di solo uno di essi motiva l’Amministrazione finanziaria a considerare il soggetto fiscalmente residente in Italia.

Di conseguenza, l’iscrizione del cittadino italiano nell’anagrafe dei residenti all’estero non è il solo elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, qualora il contribuente abbia nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio, ossia la sede principale degli affari ed interessi economici e delle proprie relazioni personali (per la maggior parte del singolo periodo d’imposta considerato), “non risultando determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della “scelta” dell’interessato, rilevante solo quanto alla libertà dell’effettuazione della stessa, ma non ai fini della verifica del risultato di quella scelta.”

Ovviamente questi elementi sono da dimostrare in giudizio e nel caso specifico, il contribuente, ha giustificato le contestazioni dell’Amministrazione fiscale italiana, con elementi probatori carenti, superficiali e privi di oggettivo riscontro, come l’intestazione di una sim telefonica a consumo.

Secondo i giudici di Cassazione tali elementi non possono essere valutati positivamente per identificare la sede principale degli affari ed interessi economici, nonché dei rapporti affettivi, del contribuente all’estero. Da qui l’accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate.

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